ARIA

L’aria che si respira è cattiva.
Gli stati e il capitalismo esercitano il loro dominio con la menzogna: le guerre vengono dichiarate come missioni di pace; la devastazione dell’ambiente viene propinata come progresso; la precarietà e la disoccupazione sono spacciate per flessibilità e opportunità.
Sempre più numerosi, gli immigrati abbandonano il sud del mondo, depredato e sfruttato dai governi e dalle multinazionali occidentali, per cercare una possibilità.
Ma qui da noi, l’immigrato è il capro espiatorio sul quale riversare tutta l’ipocrisia di un ingranaggio assassino: sui giornali e nelle parole dei politici lo straniero è pericoloso, delinquente, clandestino, terrorista. Ma se c’è da spaccarsi la schiena a costo zero in un cantiere o in un campo di pomodori, lo straniero fa comodo. Fa comodo al padrone e al politico.
Per noi non ci sono stranieri. L’unica cosa che sentiamo straniera è la logica dell’esclusione, dello sfruttamento e della discriminazione.
Tra il 1998 e il 2001, Centrosinistra e Centrodestra hanno messo a punto una legislazione che annienta la vita di ogni immigrato/a.
In Italia gli immigrati sono schiavi per legge, e la clandestinità è una condizione inevitabile che ti rende vulnerabile al continuo ricatto del datore di lavoro perché non hai diritti.
In Italia gli immigrati vengono internati nei Centri di Permanenza Temporanea, i lager del nuovo millennio. Vengono umiliati, picchiati, deportati in massa.
Alle frontiere dell’Europa le polizie sparano sugli immigrati, li fanno affondare a bordo delle loro precarie imbarcazioni, oppure – quando è il caso – chiudono un occhio per favorire i traffici dei mafiosi che gestiscono i viaggi e gli sbarchi: stati e mafie, due facce dello stesso potere.
Non c’è contraddizione tra i diritti degli italiani e quelli degli stranieri.
La precarietà ci opprime tutti allo stesso modo.
La vera contraddizione è nell’ipocrisia del potere, nella falsità di una democrazia che non può garantire nessuna giustizia sociale. Sappiamo benissimo che gli interessi di ogni classe dominante, di qualunque colore politico, sono diametralmente opposti ai desideri di vita e di libertà delle donne e degli uomini che in tutto il mondo subiscono quotidianamente l’oppressione e la discriminazione

Noi vogliamo libertà e uguaglianza, ora. Per tutte e tutti, ovunque.
Vogliamo un mondo in cui non conta il luogo in cui nasci per poter aspirare a una vita autonoma e consapevole.
Noi vogliamo costruire una società in cui ciascuno/a sia libero/a di progettare la propria esistenza insieme agli altri e non contro gli altri.
Essere contro ogni razzismo, significa sbarazzarsi di tutte le barriere fisiche e culturali perché è proprio su queste barriere che gli stati e i governi fondano la loro pretesa di dominio.
È tempo di respirare un’aria migliore: quella della libertà, dell’autogestione, dell’anarchia!

Nucleo “Giustizia e Libertà” della Federazione Anarchica Siciliana
Federazione dei Comunisti Anarchici – Sezione di Palermo
Commissione Antirazzista della Federazione Anarchica Italiana

UOMINI E NO

Nell’edizione nissena de La Sicilia del 20 gennaio 2005, tale Riccardo Riggi si produce in un agghiacciante panegirico sul Centro di Permanenza Temporanea di Pian del Lago.
Affondando a piene mani nei dati forniti dalla locale questura, l’autore dell’articolo tesse l’elogio del campo di concentramento di Caltanissetta: la carcerazione di «4.875 stranieri ospitati nel quadriennio 2000-2004» diventa nelle parole del redattore un «processo di gestione».
Poi, tutto contento, riferisce della capacità del CPT di «scovare tra essi ben 1.742 extracomunitari da rimpatriare». E ancora, nel 2004, su 1.707 stranieri «ospitati» nel centro di permanenza «1.082 sono stati trattenuti, 625 i rimpatriati».
Alla fine, l’estasi: il CPT di Caltanissetta è quello «con il più alto numero d’espulsioni in Italia, ben 905».
Le rassicuranti dichiarazioni di Michele Emma – dirigente dell’Ufficio immigrazione – suggellano questo macabro quadro di efficientismo repressivo. Infine, arriva la benedizione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i i Rifugiati e del Comitato per la prevenzione delle torture del Consiglio d’Europa secondo cui «il Cpta è il miglior centro d’Italia».
A guastare questo scenario ci hanno pensato i diretti interessati: 29 immigrati sono scappati dal lager di Caltanissetta scavalcando la recinzione e disperdendosi nelle campagne circostanti.
L’episodio viene citato nelle ultime righe dello stesso incredibile articolo di cui sopra.
Vien da chiedersi il perché questi immigrati si ostinino a voler scappare a tutti i costi dal «miglior centro d’Italia».
La risposta va cercata nelle gambe e nell’angoscia dei fuggitivi braccati dalla polizia, nella loro voglia di scappare dall’abbrutimento, dall’annichilimento, dall’orrore di una carcerazione insensata, ingrata e infame: la risposta va cercata nell’inalienabile diritto alla libertà di ogni essere umano, nel diritto a fuggire dalla fame, dalla miseria, dalle guerre, dalla precarietà, nel diritto a vivere pienamente la propria esistenza.
La macchina repressiva potrà anche imbellettarsi pateticamente di una rispettabilità artefatta, servendosi di un giornalismo acritico e compiacente, ma la verità delle cose appare sempre nella sua dirompente attualità. E’ illuso chi crede di poter annientare il bisogno di libertà degli individui innalzando muri, gabbie, sbarre e filo spinato.
Raccontare di donne e uomini riducendoli a meri numeri di una casistica infame che conta i trattenuti e gli espulsi è certamente un segno dei tempi: tempi di guerra, una guerra dichiarata non solo agli immigrati, ma al senso più profondo dell’umano.
In questa guerra, dunque, bisogna avere il coraggio di scegliere da che parte stare, se con l’umano o con il non umano.

Nucleo "Giustizia e Libertà" della Federazione Anarchica Siciliana
Federazione dei Comunisti Anarchici – Sezione di Palermo

CONTRO LO STATO E IL SUO RAZZISMO

 

La vicenda della Cap Anamur dimostra chiaramente che lo stato italiano ha dichiarato guerra a tutti i migranti.
Con questa omissione di soccorso istituzionalizzata il governo ha voluto calpestare la dignità di trentasette persone colpevoli solamente di cercare un’esistenza migliore.
L’equipaggio della Cap Anamur è stato punito per aver prestato soccorso in mare: il capitano della nave, il suo vice e il presidente dell’associazione sono stati incarcerati.
Dopo venti giorni in mare – assediati dai mezzi della Marina militare italiana – i profughi sono stati deportati nel Centro di Permanenza Temporanea di Agrigento, un lager per immigrati: questa è l’idea di accoglienza che il Ministero degli Interni ha espresso attraverso le sue direttive.
Negli ultimi concitati giorni una vasta e spontanea mobilitazione dal basso da parte degli antirazzisti siciliani ha garantito una presenza costante sia a Porto Empedocle che davanti il CPT di Agrigento: proprio qui davanti sono stati brutalmente caricati i manifestanti che esprimevano solidarietà ai profughi e a tutti gli immigrati reclusi all’interno del CPT di C.da S.Benedetto.
L’ottusa violenza che vorrebbe schiacciare tutto e tutti nell’inferno della clandestinità è la strategia adottata dal Potere, dagli Stati e dal Capitale.
Poiché siamo fermamente convinti che nessuno debba essere considerato “clandestino” o “illegale”, continueremo a batterci per la distruzione di tutte le frontiere, di tutte le galere e per l’assoluta libertà di movimento di tutte e tutti.
Non è importante stabilire l’esatta nazionalità dei profughi della Cap Anamur: da qualunque parte del mondo essi vengano, hanno tutto il diritto di poter decidere in piena autonomia le sorti delle proprie esistenze.
Ci opponiamo radicalmente alla logica fascista e razzista che ostacola la libertà di circolazione delle persone.
Pretendiamo l’immediata liberazione degli arrestati e il riconoscimento del diritto d’asilo ai profughi.
 
CONTRO LA CRIMINALITA’ DEL POTERE, LIBERI TUTTI!
NESSUNA FRONTIERA, NESSUNA GALERA!

 

Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo "Giustizia e Libertà"

 

Luglio 2004

DIRITTO D’ASILO, DIRITTO ALLA LIBERTÀ

La drammatica vicenda della comunità di esuli politici sudanesi che vivono a Palermo da più di un anno è sintomatica dell’estremo disagio in cui versano tutte quelle donne e quegli uomini a cui viene negata non solo la libertà di circolare, muoversi, emigrare ma anche quella ancor più fondamentale di vivere pienamente la propria vita.
In Italia così come in tutta Europa, l’attuale normativa vigente in materia di immigrazione pone degli ostacoli molto seri alla concreta possibilità da parte di quelli che vengono definiti "extracomunitari" di accedere al diffuso benessere europeo e, più in generale, occidentale.
Viene eliminata alla radice la possibilità di entrare a patto che la propria "regolarità" sia garantita da una preventiva collocazione lavorativa che la maggior parte delle volte è essa stessa ben al di sotto degli standard occupazionali in ambito europeo.
Il nodo dell’accoglienza resta in ogni caso impossibile da sciogliere poiché le leggi razziste non arrestano minimamente i flussi migratori, tanto più che le dinamiche su scala mondiale (politiche, economiche, sociali) fanno sì che lo sfruttamento, le guerre, la precarietà inducano sempre più persone a cercare scampo là dove si pensa che si possa vivere meglio.
Quando, come nel caso dei cinquantatré sudanesi di Palermo, l’immigrato assume la connotazione di rifugiato politico, possibilmente politicizzato o comunque sufficientemente consapevole di quelli che sono diritti, doveri, obblighi e assunzioni di responsabilità, tutto si complica ulteriormente.
I fatti di questi giorni lo dimostrano.
Seppur con notevole ritardo, i membri di questa comunità hanno espresso chiaramente la necessità (che è anche un diritto riconosciuto legalmente) di ottenere lo status di "rifugiati politici", ponendo le istituzioni pubbliche e religiose di fronte a una richiesta precisa.
Tale richiesta implica necessariamente il riconoscimento di una condizione e dunque di un impegno affinché vengano presi i dovuti provvedimenti.
L’accoglienza dell’immigrato, clandestino o meno che sia, è tradizionalmente appannaggio delle strutture religiose, e in Italia religione fa rima con cattolicesimo.
È curioso che proprio di fronte ai sudanesi le porte clericali si siano clamorosamente chiuse: le irriducibili divergenze con Biagio Conte di "Speranza e Carità" non sono state risolte proprio perché questi ritiene inconcepibile che le persone "accolte" possano informarsi, guardare la televisione, aumentare la propria conoscenza del mondo e del loro ruolo nel mondo.
Chi chiede asilo politico non può certo rinunciare a tutto questo.
Non fa specie, di contro, la sordità delle istituzioni pubbliche – Comune e Prefettura – la cui proposta immediata è stata quella di trasferire i sudanesi in un centro di accoglienza sito a Montelepre a quaranta chilometri dal capoluogo.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Ancor prima di intavolare qualsivoglia trattativa, il Laboratorio Sociale Occupato ZETA si è assunto l’onere di provvedere esso stesso all’accoglienza di persone che erano rimaste letteralmente per strada. Una struttura occupata illegalmente (secondo i parametri istituzionali) assolve dal 3 marzo scorso una funzione di utilità pubblica e sociale che nessuno può disconoscere e che merita apprezzamento, sostegno e concreta solidarietà.
A fronte di tutto questo, sono pervenute da parte istituzionale risposte poco incoraggianti, tanto che lo sgombero cui è sottoposto lo ZETAlab viene usato ora come minaccia permanente che oggi più di ieri ha il sapore della ritorsione.
Un inquietante blocco d’ordine sembra voler soffocare i sudanesi, i compagni dello ZETAlab e tutti i cittadini che si stanno impegnando in questa battaglia di libertà. Un isolamento prodotto dall’ostruzionismo prefettizio, dalla sordità del Comune e dall’indecifrabile silenzio delle gerarchie ecclesiastiche.
Tale isolamento sembra non dare i suoi frutti dato che la solidarietà nei confronti dei protagonisti di questa vicenda va crescendo e si diffonde sempre di più anche grazie alla costante e precisa diffusione di informazioni che viene fatta in ambito cittadino e non solo.
Al di là della risoluzione di tale vertenza che è certamente auspicabile, il caso degli esuli del Sudan pone un problema fondamentale in merito al fenomeno dell’immigrazione: come creare accoglienza reale sganciandosi dal controllo delle strutture religiose o private?
Nel momento in cui gli stranieri rivendicano diritti e si pongono come soggetti attivi, la risposta istituzionale è molto negativa.
Ciò significa che bisogna far leva proprio su questo rifiuto per pensare ad un’accoglienza di tipo "alternativo" in cui siano gli immigrati stessi a dettare le condizioni per un pieno soddisfacimento delle loro esigenze.
Costringere le istituzioni a riconoscere l’immigrato come soggetto consapevole è il primo passo verso un necessario spostamento dei rapporti di forza finalizzato a una gestione diretta dell’accoglienza da parte degli immigrati.
Le formule "cristiane" di accoglienza per quanto rispettabili nella concretezza della funzione che assolvono, mostrano in definitiva dei limiti strutturali che spesso vengono a galla con grande drammaticità come in questo caso.
L’impegno militante di quanti in questi giorni stanno sostenendo la comunità sudanese anche nella trattativa per ottenere un posto sicuro nel quale i profughi possano vivere e organizzare la propria attività politica, dimostra l’esigenza di una accoglienza dal basso che liberi gli immigrati dal monopolio della gestione cattolica della "carità".
La lotta dei sudanesi assume oggi il valore di una prima tappa di questo percorso di liberazione che se intrapreso con coraggio e determinazione potrà portare i suoi frutti.
Evidentemente, questa prospettiva fa paura a molti.

Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo "Giustizia e Libertà"

16/03/2003