4 novembre: niente da festeggiare

Oggi più che mai l’antimilitarismo che ha sempre caratterizzato le idee e la prassi degli anarchici in tutto il mondo è diventato irrinunciabile.
Il 4 novembre lo Stato commemora la “vittoria” della Prima guerra mondiale riconoscendo alle forze armate il ruolo di difensori della Patria e delle sue istituzioni sovrane.
Dietro questa maschera autocelebrativa fatta di retorica nazionalista ed elogio della forza militare si nascondono le verità di sempre: gli eserciti combattono le guerre e le guerre producono morte, miseria, distruzione.
L’attuale clima di guerra permanente che vogliono farci respirare con la scusa del terrorismo internazionale diventa così funzionale al controllo capillare delle nostre vite: il mondo assomiglia sempre di più a una caserma, e chiunque prova a sfuggire a questa irregimentazione è immediatamente tacciato di tradimento e pericolosità sociale.
Il mondo globalizzato è costantemente dilaniato da conflitti spaventosi: gli Stati Uniti hanno iniziato due guerre in due anni coinvolgendo gli stati più servili e fedeli come l’Italia. La tesi secondo la quale si può esportare la democrazia a suon di bombe sta crollando miseramente sotto i colpi della guerriglia in Iraq dove i soldati USA muoiono ogni giorno come mosche.
Gli interessi economici e di potere che stanno dietro alle guerre si giocano sulla pelle di milioni di persone: terrorismo e guerra (terrorismo di stato) sono le due facce della stessa tragica medaglia.
Essere antimilitaristi oggi significa rifiutare le gabbie culturali e politiche nelle quali il Potere vuole rinchiudere l’umanità.
Essere antimilitaristi significa preferire la libertà, la solidarietà, la giustizia sociale alla sopraffazione, l’esclusione e l’ingiustizia.
I macellai che siedono sulle poltrone dei palazzi del Potere hanno bisogno di carne fresca e cervelli intorpiditi.
Noi rifiutiamo di partecipare a questo gioco al massacro!
Noi ci dissociamo dalle forze armate e dalla naturale violenza dello Stato!

NO ALLA FERMA VOLONTARIA!
CONTRO GLI ESERCITI, GLI STATI, LE GUERRE!


Antimilitaristi Anarchici

AUTOGESTIRE IL FUTURO

Il crollo della palazzina all’Albergherìa, in pieno centro storico a Palermo, è il drammatico segnale del malessere di un intero quartiere e di tutta una città.
Sono centinaia i palazzi fatiscenti, lasciati a marcire dall’incuranza dei privati e dell’amministrazione comunale: i primi si limitano spesso a tenere gli appartamenti in condizioni miserevoli per darli in affitto agli immigrati, l’ente pubblico invece preferisce impegnarsi nel risanamento di alcune aree destinate alla nuova borghesia palermitana che riscopre il centro con i suoi locali attraenti e le luci soffuse.
Nel mezzo ci sono i bisogni reali della gente che vengono calpestati continuamente: innumerevoli appartamenti che a Palermo potrebbero soddisfare le esigenze di migliaia di indigenti, disoccupati, invalidi, anziani e intere famiglie vengono lasciati colpevolmente in uno stato di abbandono inconcepibile. Beni immobiliari confiscati alla mafia sono lasciati vuoti a prender polvere mentre la gente rivendica il diritto ad una vita dignitosa.
Crollano le palazzine e aumenta il degrado, la precarietà, l’incertezza in un quartiere prigioniero del ricatto del bisogno. Un quartiere che ancora una volta è lo specchio più fedele del malessere di tutta Palermo.

E’ tempo di riacquistare dignità e lottare per i propri diritti.
Non è concepibile che le case del centro storico di Palermo si sbriciolino dopo le prime forti piogge.
Non possiamo accettare la colpevole noncuranza di chi pretende di occuparsi dei problemi di questa città.
Non è ammissibile che mentre si spendono palate di soldi per festini e pranzi di gala, non si trovi mai una lira per i servizi sociali e il recupero dei quartieri popolari.
Bisogna riprendere in mano la nostra vita, perché l’unica cosa che deve crollare non è il tetto sulla nostra testa, ma la logica del potere e tutti i mostri che produce.

Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo “Giustizia e Libertà”

LA LIBERTÀ NON HA PREZZO

Il 6 luglio i Ministri del Commercio dell’Unione Europea e dei Paesi aspiranti membri si incontreranno informalmente a Palermo per definire la loro agenda in occasione della prossima conferenza ministeriale dell’OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio, in inglese WTO) a Cancun, in Messico.
Lì tenteranno di ampliare l’OMC, quell’organizzazione che detta in tutto il mondo le condizioni del non-sviluppo e dello sfruttamento.
Le loro ricette di liberalizzazione selvaggia degli scambi commerciali hanno avuto risultati che sono sotto gli occhi di tutti: il Sud del mondo è assolutamente in ginocchio. In Brasile, Argentina, Uruguay e Perù la crisi economica ha raggiunto livelli intollerabili mentre in Asia e Africa lo sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali occidentali ha sradicato dalle loro terre migliaia di donne e uomini.

Loro dicono cosa e come si deve produrre. Loro dicono a chi vendere. Bisogna esportare prodotti per il consumo occidentale, e a detenere il monopolio della produzione devono essere le grandi Corporations per le quali lavorano i nuovi schiavi della nuova economia globalizzata.
Quando parlano di sviluppo per tutti, questi signori in doppio petto (che ancora una volta vengono a infestare Palermo) parlano con la malafede di chi sa di dire una menzogna. Noi tutti subiamo sulla nostra pelle gli effetti dei loro accordi, dei loro affari, dei loro appalti fatti sotto al tavolo: la precarietà, la flessibilità del lavoro, la disoccupazione inarrestabile sono i risultati delle loro strategie economiche e politiche. Nel mondo intero, la gente viene ricattata con le guerre e la chiusura delle frontiere: chi non è occidentale deve solo spaccarsi la schiena e morire di fame lontano da qui, dall’Europa "democratica e civile".

I loro carteggi, le loro cerimonie, i loro pranzi di gala sono volgari schiaffi alla miseria per chi qui in Sicilia non ha la casa, il lavoro o l’acqua corrente.
Verranno di nascosto: fino a pochi giorni fa non si sapeva quasi nulla di questo Vertice. Fanno bene a vergognarsi.
Alla loro arroganza mafiosa, noi rispondiamo come sempre con la lotta: quella di ogni giorno, quella che porteremo nelle piazze e nelle strade di Palermo.
Ci riapproprieremo della nostra città per ribadire la nostra presenza, la nostra inesauribile tensione alla libertà, la rabbia per le troppe ingiustizie che opprimono il mondo. Saremo la voce di noi stessi, la voce dei migranti, dei lavoratori, degli studenti, dei disoccupati, dei popoli in lotta.
Fanno bene a nascondersi, i ministri dell’UE: nel mondo che vogliamo non c’è posto per gli sciacalli.

Centro di documentazione libertaria "P. Riggio" – Palermo
BoxUno Autogestito
Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo "Giustizia e Libertà"

05/07/2003

DIRITTO D’ASILO, DIRITTO ALLA LIBERTÀ

La drammatica vicenda della comunità di esuli politici sudanesi che vivono a Palermo da più di un anno è sintomatica dell’estremo disagio in cui versano tutte quelle donne e quegli uomini a cui viene negata non solo la libertà di circolare, muoversi, emigrare ma anche quella ancor più fondamentale di vivere pienamente la propria vita.
In Italia così come in tutta Europa, l’attuale normativa vigente in materia di immigrazione pone degli ostacoli molto seri alla concreta possibilità da parte di quelli che vengono definiti "extracomunitari" di accedere al diffuso benessere europeo e, più in generale, occidentale.
Viene eliminata alla radice la possibilità di entrare a patto che la propria "regolarità" sia garantita da una preventiva collocazione lavorativa che la maggior parte delle volte è essa stessa ben al di sotto degli standard occupazionali in ambito europeo.
Il nodo dell’accoglienza resta in ogni caso impossibile da sciogliere poiché le leggi razziste non arrestano minimamente i flussi migratori, tanto più che le dinamiche su scala mondiale (politiche, economiche, sociali) fanno sì che lo sfruttamento, le guerre, la precarietà inducano sempre più persone a cercare scampo là dove si pensa che si possa vivere meglio.
Quando, come nel caso dei cinquantatré sudanesi di Palermo, l’immigrato assume la connotazione di rifugiato politico, possibilmente politicizzato o comunque sufficientemente consapevole di quelli che sono diritti, doveri, obblighi e assunzioni di responsabilità, tutto si complica ulteriormente.
I fatti di questi giorni lo dimostrano.
Seppur con notevole ritardo, i membri di questa comunità hanno espresso chiaramente la necessità (che è anche un diritto riconosciuto legalmente) di ottenere lo status di "rifugiati politici", ponendo le istituzioni pubbliche e religiose di fronte a una richiesta precisa.
Tale richiesta implica necessariamente il riconoscimento di una condizione e dunque di un impegno affinché vengano presi i dovuti provvedimenti.
L’accoglienza dell’immigrato, clandestino o meno che sia, è tradizionalmente appannaggio delle strutture religiose, e in Italia religione fa rima con cattolicesimo.
È curioso che proprio di fronte ai sudanesi le porte clericali si siano clamorosamente chiuse: le irriducibili divergenze con Biagio Conte di "Speranza e Carità" non sono state risolte proprio perché questi ritiene inconcepibile che le persone "accolte" possano informarsi, guardare la televisione, aumentare la propria conoscenza del mondo e del loro ruolo nel mondo.
Chi chiede asilo politico non può certo rinunciare a tutto questo.
Non fa specie, di contro, la sordità delle istituzioni pubbliche – Comune e Prefettura – la cui proposta immediata è stata quella di trasferire i sudanesi in un centro di accoglienza sito a Montelepre a quaranta chilometri dal capoluogo.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Ancor prima di intavolare qualsivoglia trattativa, il Laboratorio Sociale Occupato ZETA si è assunto l’onere di provvedere esso stesso all’accoglienza di persone che erano rimaste letteralmente per strada. Una struttura occupata illegalmente (secondo i parametri istituzionali) assolve dal 3 marzo scorso una funzione di utilità pubblica e sociale che nessuno può disconoscere e che merita apprezzamento, sostegno e concreta solidarietà.
A fronte di tutto questo, sono pervenute da parte istituzionale risposte poco incoraggianti, tanto che lo sgombero cui è sottoposto lo ZETAlab viene usato ora come minaccia permanente che oggi più di ieri ha il sapore della ritorsione.
Un inquietante blocco d’ordine sembra voler soffocare i sudanesi, i compagni dello ZETAlab e tutti i cittadini che si stanno impegnando in questa battaglia di libertà. Un isolamento prodotto dall’ostruzionismo prefettizio, dalla sordità del Comune e dall’indecifrabile silenzio delle gerarchie ecclesiastiche.
Tale isolamento sembra non dare i suoi frutti dato che la solidarietà nei confronti dei protagonisti di questa vicenda va crescendo e si diffonde sempre di più anche grazie alla costante e precisa diffusione di informazioni che viene fatta in ambito cittadino e non solo.
Al di là della risoluzione di tale vertenza che è certamente auspicabile, il caso degli esuli del Sudan pone un problema fondamentale in merito al fenomeno dell’immigrazione: come creare accoglienza reale sganciandosi dal controllo delle strutture religiose o private?
Nel momento in cui gli stranieri rivendicano diritti e si pongono come soggetti attivi, la risposta istituzionale è molto negativa.
Ciò significa che bisogna far leva proprio su questo rifiuto per pensare ad un’accoglienza di tipo "alternativo" in cui siano gli immigrati stessi a dettare le condizioni per un pieno soddisfacimento delle loro esigenze.
Costringere le istituzioni a riconoscere l’immigrato come soggetto consapevole è il primo passo verso un necessario spostamento dei rapporti di forza finalizzato a una gestione diretta dell’accoglienza da parte degli immigrati.
Le formule "cristiane" di accoglienza per quanto rispettabili nella concretezza della funzione che assolvono, mostrano in definitiva dei limiti strutturali che spesso vengono a galla con grande drammaticità come in questo caso.
L’impegno militante di quanti in questi giorni stanno sostenendo la comunità sudanese anche nella trattativa per ottenere un posto sicuro nel quale i profughi possano vivere e organizzare la propria attività politica, dimostra l’esigenza di una accoglienza dal basso che liberi gli immigrati dal monopolio della gestione cattolica della "carità".
La lotta dei sudanesi assume oggi il valore di una prima tappa di questo percorso di liberazione che se intrapreso con coraggio e determinazione potrà portare i suoi frutti.
Evidentemente, questa prospettiva fa paura a molti.

Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo "Giustizia e Libertà"

16/03/2003

Strategia della tensione


Ci risiamo. Ancora una volta le bombe tornano a scandire la quotidianità di questo Paese. In un momento in cui il conflitto sociale sembra preoccupare seriamente chi comanda, in una fase in cui gli operai rispondono con rabbia e determinazione agli attacchi della razza padrona e vasti strati della popolazione manifestano un diffuso malumore nei confronti delle politiche governative, la risposta dello Stato è quella di sempre: criminalizzare, reprimere, uccidere.
Gli omicidi di D’Antona e Marco Biagi, la richiesta di archiviazione per il carabiniere Placanica, le accuse per associazione sovversiva nei confronti della Rete del Sud ribelle, gli arresti e le perquisizioni in merito alla guerra scatenata dai G8 a Genova nel luglio 2001 e le ultime bombe esplose alla Questura di Genova sono tutte inquietanti tappe di un percorso repressivo e terroristico che vuole stroncare qualsiasi forma di opposizione sociale.
Come da copione, i mostri da sbattere in prima pagina sono gli anarchici. La Storia di questo Paese ci dimostra invece che le istituzioni hanno sempre giocato con la pelle delle persone: la morte di Pinelli e di tutte le vittime delle stragi di Stato ce lo ricordano ancora.
La volontà di cambiamento che negli ultimi anni donne e uomini hanno espresso e continuano a esprimere in Italia e in tutto il mondo, non potrà essere arrestata dalle politiche del terrore.
Un altro mondo è necessario e ne siamo convinti. Le pratiche di libertà, le rivendicazioni dei diritti negati, le quotidiane lotte per il lavoro, per la libertà di circolazione, per la costruzione di un mondo giusto e solidale costituiscono un patrimonio al quale non intendiamo rinunciare. Il terrorismo e la guerra fanno parte del codice genetico degli stati e del Capitale.
Nel nostro codice genetico c’è, invece, la libertà.

Federazione Anarchica Siciliana – Nucleo "Giustizia e Libertà"
Compagni della Federazione Anarchica Italiana – Palermo