Ricordare le stragi di stato, la strategia della tensione, l’assassinio di Giuseppe Pinelli non significa abbandonarsi a un vuoto rituale della commemorazione.
Perché a trentotto anni di distanza, le strategie di chi detiene il potere per intimidire e impedire ogni tentativo di cambiamento a favore delle classi più deboli non sono mutate poi molto.
Il 12 dicembre 1969 l’attentato dinamitardo alla Banca dell’agricoltura di Piazza Fontana a Milano sancì l’inizio della strategia della tensione accompagnata da una stagione di lutti e sofferenze in cui lo Stato operò scientificamente per stroncare la vitalità di un’opposizione sociale che, attraverso una sempre maggiore coscienza di classe, portava alle crescenti mobilitazioni di lavoratori e studenti radicalizzando il conflitto in direzione di un profondo miglioramento delle condizioni di vita di tutte e tutti.
Gli apparati repressivi, seguendo un copione consolidato, cercarono da subito di scaricare le proprie responsabilità sugli anarchici, e il primo a pagarne le conseguenze fu il compagno Giuseppe Pinelli, scaraventato da una finestra della questura di Milano, durante un lungo ed estenuante interrogatorio svoltosi nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi.
Grazie alla ferma volontà degli anarchici affinché si facesse piena luce sull’innocenza di Pinelli e Valpreda, tutto il movimento in Italia riuscì a smascherare la matrice istituzionale della strage di piazza Fontana e, ancora oggi, la storia ha reso giustizia alle vittime innocenti della strategia della tensione identificando nello stato e nella manovalanza fascista gli autori e gli esecutori di quelle tremende pagine della storia recente del paese.
Oggi, in un’epoca di crisi e incertezze profonde, il potere gioca la carta della paura, della guerra preventiva su scala nazionale a tutto ciò che può mettere in discussione i privilegi del ceto politico e lo strapotere del capitalismo.
L’involuzione autoritaria della democrazia italiana rispecchia bene la scelta delle democrazie mondiali di mettere in pratica una strategia della tensione permanente, che qui si esprime nella guerra al diverso e all’immigrato, nel tentativo di annullare e criminalizzare qualunque opposizione nella società e nei luoghi di lavoro, nel terrorismo psicologico per farci sentire tutti nel mirino di un’insicurezza che è confezionata a tavolino nelle stanze di chi gestisce il potere e manipola l’informazione.
I pacchetti sulla sicurezza servono a nascondere le ferite incancrenite di un’Italia in cui i lavoratori muoiono quotidianamente per guadagnarsi da vivere, dove l’unica prospettiva per i giovani è la precarietà o la disoccupazione e non è consentito alzare la testa per manifestare la propria opposizione e la propria voglia di cambiamento.
Sappiamo che in questi giorni a Palermo c’è chi, pur non essendo né anarchico né libertario, ricorda e rende omaggio a Pinelli, e di questo noi siamo grati.
E oggi, noi scendiamo in piazza perché ricordare Giuseppe Pinelli non è una commemorazione, ma un atto d’accusa contro la criminalità del potere.
Perché a trentotto anni di distanza, le strategie di chi detiene il potere per intimidire e impedire ogni tentativo di cambiamento a favore delle classi più deboli non sono mutate poi molto.
Il 12 dicembre 1969 l’attentato dinamitardo alla Banca dell’agricoltura di Piazza Fontana a Milano sancì l’inizio della strategia della tensione accompagnata da una stagione di lutti e sofferenze in cui lo Stato operò scientificamente per stroncare la vitalità di un’opposizione sociale che, attraverso una sempre maggiore coscienza di classe, portava alle crescenti mobilitazioni di lavoratori e studenti radicalizzando il conflitto in direzione di un profondo miglioramento delle condizioni di vita di tutte e tutti.
Gli apparati repressivi, seguendo un copione consolidato, cercarono da subito di scaricare le proprie responsabilità sugli anarchici, e il primo a pagarne le conseguenze fu il compagno Giuseppe Pinelli, scaraventato da una finestra della questura di Milano, durante un lungo ed estenuante interrogatorio svoltosi nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi.
Grazie alla ferma volontà degli anarchici affinché si facesse piena luce sull’innocenza di Pinelli e Valpreda, tutto il movimento in Italia riuscì a smascherare la matrice istituzionale della strage di piazza Fontana e, ancora oggi, la storia ha reso giustizia alle vittime innocenti della strategia della tensione identificando nello stato e nella manovalanza fascista gli autori e gli esecutori di quelle tremende pagine della storia recente del paese.
Oggi, in un’epoca di crisi e incertezze profonde, il potere gioca la carta della paura, della guerra preventiva su scala nazionale a tutto ciò che può mettere in discussione i privilegi del ceto politico e lo strapotere del capitalismo.
L’involuzione autoritaria della democrazia italiana rispecchia bene la scelta delle democrazie mondiali di mettere in pratica una strategia della tensione permanente, che qui si esprime nella guerra al diverso e all’immigrato, nel tentativo di annullare e criminalizzare qualunque opposizione nella società e nei luoghi di lavoro, nel terrorismo psicologico per farci sentire tutti nel mirino di un’insicurezza che è confezionata a tavolino nelle stanze di chi gestisce il potere e manipola l’informazione.
I pacchetti sulla sicurezza servono a nascondere le ferite incancrenite di un’Italia in cui i lavoratori muoiono quotidianamente per guadagnarsi da vivere, dove l’unica prospettiva per i giovani è la precarietà o la disoccupazione e non è consentito alzare la testa per manifestare la propria opposizione e la propria voglia di cambiamento.
Sappiamo che in questi giorni a Palermo c’è chi, pur non essendo né anarchico né libertario, ricorda e rende omaggio a Pinelli, e di questo noi siamo grati.
E oggi, noi scendiamo in piazza perché ricordare Giuseppe Pinelli non è una commemorazione, ma un atto d’accusa contro la criminalità del potere.
Nucleo "Giustizia e Libertà" della Federazione Anarchica Siciliana
Federazione dei Comunisti Anarchici – Sezione "Delo Truda" Palermo